I ragazzi e l’uso improprio dei farmaci
Giovani – Un’associazione ticinese si batte contro l’uso ricreativo dei farmaci, un fenomeno molto pericoloso per la salute dei ragazzi. Ne abbiamo parlato con Anna Marini, la coraggiosa mamma che l’ha fondata
/ 27.12.2021
di Guido Grilli
«(…) Mio figlio faceva uso di farmaci da un anno e mezzo, due anni. Nell’aprile del 2020 aveva smesso, si era separato da tutte le sue amicizie, aveva cambiato il numero di telefono per stare lontano da tutto, era in cura da uno psicoterapeuta. Poi, purtroppo è ricaduto. Quella sera aveva detto probabilmente a se stesso “faccio serata”, come tanti ragazzi usano dire adesso. Probabilmente visto che lo aveva già fatto tante altre volte e si era convinto che se lo avesse ripetuto non sarebbe successo niente. Invece, il suo corpo non ha retto ed è morto per un arresto cardiaco. L’autopsia ha stabilito che non aveva assunto altre sostanze, esclusivamente farmaci. I medici ce lo hanno spiegato: dopo una disintossicazione, può bastare un farmaco». Anna Marini è una donna coraggiosa ed è convinta che dopo il dolore e dopo aver pagato il prezzo più alto – la perdita di uno dei suoi tre figli, l’anno scorso, all’età di 19 anni – sia venuto il tempo di parlare e di portare alla luce un problema troppo a lungo trascurato. Per questo ha voluto fondare l’Associazione Insieme Contro l’Uso Ricreativo di Farmaci. «Con il decesso di nostro figlio, io e mio marito siamo venuti a conoscenza di un fenomeno molto più comune di quanto credevamo. Come famiglia ci siamo sentiti soli. Sapevamo che nella compagnia di mio figlio erano in molti a fare uso di farmaci e presto abbiamo capito che questa dipendenza è molto vasta fra i giovani. Sono la cosa che si ottiene più facilmente e a più basso costo. I farmaci si trovano in tutte le case, basta andare da una nonna, una zia: un antidolorifico, un antinfiammatorio. Ci sono ragazzi che i farmaci li fumano e li inalano. Ogni farmaco può essere potenzialmente dannoso se finisce in mani sbagliate – e non parliamo solo di psicofarmaci. Con questo non intendiamo fare allarmismo, però è importante rendere attenti i genitori. Ci pare di percepire che si ha la tendenza a mettere la polvere sotto il tappeto: tutti sanno, ma nessuno agisce. Io mi dico che non voglio essere complice di tante situazioni complicate e di morti che si possono evitare. Noi abbiamo voluto fortemente – nell’associazione collabora anche il mio altro figlio, Gioele – che da una tragedia nascesse qualcosa di positivo, se così lo possiamo chiamare, proprio per aiutare gli altri, le famiglie, i ragazzi ad aprire gli occhi e capire veramente con consapevolezza cosa sta succedendo e a non rimanere indifferenti. Cosa si intende per uso creativo di farmaci? Significa uso improprio, ossia non per curarsi, bensì per divertirsi, per «sballare». Ci sono molti giovani che cercano questo «sballo» per sentirsi più presenti nella realtà. Anziché le droghe, molti usano i farmaci, abbinandoli all’«erba» o all’alcol: tutto questo crea, come dicono loro, uno stato di incoscienza. Offrite anche progetti di prevenzione, attraverso metodologie, quali la «peer-education». Di cosa si tratta? Ci siamo avvalsi dell’aiuto di Enrico Comi, un ex tossicodipendente che da 27 anni si occupa di prevenzione in tutt’Italia. L’ho conosciuto due mesi dopo la tragedia di mio figlio e abbiamo affidato a lui il compito della prevenzione: serate informative rivolte a docenti, genitori e giovani. Comi forma ragazzi volontari e li forma su come approcciarsi ai loro coetanei e sensibilizzarli sui pericoli. I ragazzi s’investono così del ruolo di «peer-educator», un approccio efficace perché le informazioni avvengono tra giovani. Noi non intendiamo dire ai ragazzi quel che devono fare, bensì fornire loro degli strumenti affinché possano agire in modo più consapevole. Presto inaugureremo incontri di sensibilizzazione anche nelle scuole. Il vostro sito Internet stesso compie un’importante azione di informazione e prevenzione, accogliendo diverse testimonianze di genitori confrontati con il problema, che si estende anche ad altre dipendenze, quali la droga e l’alcol… Enrico Comi, in questo senso, è un testimone importante perché è passato attraverso la droga e affronta nel suo lavoro tutti i tipi di sostanze. Ci sono giovani che mischiano, bevono, fumano «erba», prendono pastiglie che uniscono alla caffeina, producono «sciroppini». Non si rendono conto della gravità di quanto ingeriscono. Si fanno coinvolgere dagli amici, senza sapere che una sola volta può avere conseguenze gravissime. Si credono onnipotenti, pensano che a loro non può capitare nulla, che possono smettere quando vogliono. Ma non è così. La vostra associazione ha appena ottenuto il Premio Federico Mari istituito alla memoria del fondatore di «Telefono S.O.S Infanzia». Durante la cerimonia di consegna le operatrici hanno evidenziato quanto l’uso ricreativo di farmaci sia un fenomeno crescente tra i giovani, un dato testimoniato da diverse chiamate giunte al servizio da parte degli stessi giovani coinvolti e da genitori angosciati che richiedono aiuto, dopo che i loro figli hanno «sballato» o mancano da casa da giorni. Il fenomeno è davvero così diffuso? Il problema è davvero più grave di quanto si sia portati a credere. Io ritengo di massima importanza parlarne. Non parlarne equivale a dire che non esiste il problema. L’anno prossimo intendiamo creare gruppi di auto-aiuto per le famiglie. Spesso i genitori si sentono giudicati, avvertono un senso di colpa e non ne parlano. L’intento è proprio quello di offrire loro un luogo neutro, in cui ci si sentano accolti, dove sia possibile parlare, senza vergogna, e scambiarsi reciprocamente esperienze. La vostra associazione ha denunciato uno dei problemi che si pone a monte del fenomeno dell’uso ricreativo di farmaci, ossia chiamate in causa i medici e le prescrizioni dei medicamenti. Esatto. Io ritengo che i medici di famiglia devono prestare maggiore attenzione nel prescrivere ai giovani medicamenti, specie psicofarmaci. Prescrivere a un ragazzino uno psicofarmaco e non tenerlo sotto controllo o, ancora peggio, fornirgli ricette ripetibili significa esporlo al rischio che si presenti a ogni farmacia, si rifornisca e si metta a vendere pastiglie. Non solo. In altri paesi d’Europa il medico di famiglia non può prescrivere psicofarmaci, questo compito viene infatti demandato solo agli specialisti e solo dopo attenta analisi del paziente. Oggi gli psicofarmaci sono troppo facilmente reperibili sul mercato illegale: dalla Pensilina al Parco Ciani di Lugano. Ci sono ragazzi che mi hanno raccontato di aver preso sonniferi per pochi franchi. Con la pandemia il problema è peggiorato: molti ragazzi si sentono soli, incatenati, non possono uscire, sempre più reclusi e depressi. Molti giovani – la fascia di età va dai preadolescenti ai giovani adulti – cercano di colmare un malessere profondo che hanno dentro e che pensano di risolvere prendendo psicofarmaci senza controllo. Spesso ho chiesto ai giovani, «perché lo fai?», sentendomi rispondere: «Non lo so. Mi sento triste, strano, e ho bisogno di sentirmi meglio. Assumendo farmaci tengo la mente libera». Occorre più informazione. A questo proposito abbiamo proposto alla Città di Lugano un progetto, denominato «Community Wagon», rivolto ai giovani: una postazione fissa alla stazione di prevenzione e informazione, due giorni la settimana, con la presenza di educatori formati. Siamo in attesa di una risposta dalla Città. La vostra associazione accoglie anche richieste di aiuto? Attraverso il nostro sito (www.associazioneincurf.com) è possibile, in forma anonima, scriverci e-mail per richieste di informazione o di aiuto. Ne riceviamo da parte di genitori e, quando necessario, proponiamo loro di girare i loro recapiti a uno psichiatra e una psicologa professionisti con cui siamo in contatto. Personalmente non bado a orari, in caso di bisogno rispondo alle e-mail anche di sera o nei weekend.
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