top of page

Testimonianze 

Testimonianza: Mio figlio nasce nel 1996

Mio figlio maggiore M. nasce nel 1996.

Sin da piccolo mostrava segni di iperattività.
Non riusciva a concentrarsi a scuola e mi veniva detto che dava l’impressione di vivere in un suo mondo fantastico.
Ciononostante è sempre andato bene a scuola e questo non lo ha particolarmente limitato nell’apprendimento.
Era un po’ più agitato degli altri e si disconnetteva spesso e volentieri dalla realtà rifugiandosi nel suo mondo a cui aveva accesso solo lui.
È sempre stato un bambino solare e vivace, acuto ed estroverso.

A 16 anni M. ha cominciato a frequentare compagnie sbagliate.
È sempre stato attratto da ragazzi problematici, ha cominciato a fare uso di sostanze, tra cui medicinali e di alcool. A 16 anni sono cominciate anche le prime fughe da casa.

M., rimaneva per settimane fuori di casa senza dare sue notizie, vane le denunce in polizia.

M., ha sempre manifestato un bisogno di attenzione molto forte, e l’ha sempre avuta da parte nostra nonostante ci fosse un fratello più piccolo, a cui è stato dato un amore altrettanto grande ma che ha dovuto stare un po’ nell’ombra dell’esuberanza esagerata e aggressiva del fratello maggiore.

All’inizio si pensava che il suo comportamento fosse una conseguenza del divorzio tra me e suo padre.
Ho vissuto per molti anni con questo senso di colpa e nonostante fossi sempre presente mi sono resa conto che da sola non potevo aiutarlo.

Per cui dapprima ho interpellato il sostegno socio medico psicologico di Coldrerio . Ci hanno fissato alcuni incontri dove abbiamo partecipato insieme io e mio figlio. Non si riusciva a sbloccare la situazione perché M non era collaborativo.

In seguito ha frequentato da solo una psicologa di Stabio sempre dietro consiglio dell’SMP di Coldrerio.
Nonostante fosse minorenne non potevo ricevere nessun tipo di comunicazione da parte della psicologa per una questione di privacy.

Non mi sento d’incolpare l’operato della polizia o delle istituzioni.
Hanno fatto anche loro quello che potevano basandosi sulle leggi vigenti ma che urge cambiare, perché la società cambia continuamente e bisogna adeguare gli interventi alle situazioni del momento presente con leggi adeguate ad oggi, per il bene collettivo.

Non vedendo nessun risultato ho interpellato l’ARP di Mendrisio.
Sono riuscita a portare M per un incontro con l’operatrice dell’ARP che dopo 10 minuti di colloquio da sola con lui, mi ha informata che mio figlio é - testuali parole - “un vuoto a perdere” e che io avrei fatto bene a cercarmi un sostegno psicologico per accettare la cosa.

Nel frattempo M ha iniziato a frequentare un gruppo di ragazzi della sua età ospitati da un signore che si spacciava per operatore di strada.
Io non so ancora oggi cosa facesse questo signore con questi ragazzi.
Ho segnalato il fatto in polizia, e nonostante fossero al corrente di questa situazione non potevano agire. Un giorno questo signore si è presentato a casa mia con la scusa di portarmi notizie sulla salute di M e chiedermi soldi per il suo sostentamento.

Gli ho detto che M poteva scegliere se stare con me o con il padre e che era fuori questione quello che mi domandava.

Ad intermittenza M si ripresentava a casa per fare una doccia o mangiare un pasto completo e poi spariva nuovamente per giorni.
Quando rimaneva qualche giorno a casa era impossibile riuscire a stabilire un dialogo o una relazione sana.

Reagiva in maniera aggressiva, rompendo tutto quello che trovava, impaurendo mio figlio più piccolo che ha dovuto subire urli e scenate tremende.

A 17 anni ha deciso di andare a vivere per conto suo e si è messo in assistenza. Oggi M ha 24 anni ed è ancora in assistenza.

Vivo da circa 10 anni in balia del mio malessere riflesso dal disagio esistenziale di mio figlio.

La mia, una battaglia continua per arginare i suoi disturbi psicologici che vanno curati perché generano un senso di autodistruzione in lui e in chi gli sta accanto.

M. soffre di disturbi di personalità che alimentati dall’alcool provocano danni importanti, distrugge tutto quello che trova e aggredisce verbalmente chi ha di fronte, in particolare me.

M., usufruisce da anni dell’assistenza che gli permette di vivere per conto suo ma non lo aiuta ad avere una vita sana o ad inserirlo in un progetto.
Non riesce a mantenere nessun tipo di lavoro perché ha problemi a mantenere continuità di orari fissi e impegni fissi.

Ha avuto una curatrice per diversi anni che nonostante l’impegno non è riuscita a fare evolvere M. nella presa a carico delle sue responsabilità.

M. non vuole vedere le sue problematiche e le istituzioni da me interpellate mi hanno detto nel corso degli anni che non si può fare niente se non è lui a decidere di farsi aiutare.

Intanto gli anni passano e le cose peggiorano.

Il 16 luglio scorso, mio figlio si è presentato alla 1.15 di notte completamente ubriaco. Io ho fatto lo sbaglio di accoglierlo, come ho sempre fatto in passato.

Con la scusa di essere triste per la morte di un suo coetaneo ( ho saputo da altri per overdose) ha iniziato a distruggere tutto quello che trovava in giro per casa, minacciandomi e insultandomi . Fortunatamente c’era il mio compagno in casa, che ha tentato di calmarlo senza riuscirci, dando a me la possibilità di chiamare la polizia.

Sotto shock non riuscivo a credere a quello che stava succedendo, ho temuto il peggio.
Sono arrivati 10 agenti della polizia, probabilmente allertati anche dai vicini che sentivano le urla.

L’hanno immobilizzato per terra ma non riuscivano ugualmente a calmarlo. Una scena che non auguro a nessun genitore.

Finalmente è arrivata anche l’ambulanza, l’hanno sedato e portato direttamente all’OSC.
È rimasto in ospedale psichiatrico per 10 giorni.
Ho provato a mettermi in contatto con i dottori che lo avevano preso a carico ma nessuno mi voleva dare notizie per il suo diritto alla privacy.

Ho verbalizzato il tutto in polizia il giorno seguente, dopo aver portato il mio compagno in pronto soccorso con una spalla lussata, per avermi fatto da scudo deviando su di lui un pugno destinato a me.
Ho contattato nuovamente le ARP per sapere cosa sarebbe successo e chiedendo loro d’intervenire.

Niente da fare, stessa risposta:” Se lui non decide di farsi aiutare, non si può fare nulla”.

Non mi sento d’incolpare l’operato della polizia o delle istituzioni.
Hanno fatto anche loro quello che potevano basandosi sulle leggi vigenti ma che urge cambiare, perché la società cambia continuamente e bisogna adeguare gli interventi alle situazioni del momento presente con leggi adeguate ad oggi, per il bene collettivo.

Testimonianza: Sono mamma di un figlio di 21 anni

Sono una mamma di un ragazzo di 21 anni.

Mio figlio ha iniziato a 15 anni con le prime canne, ma in quel periodo andava ancora tutto bene, a parte qualche cavolata da adolescente.

Dalla maggiore età, quando ha iniziato a frequentare locali, cambiare compagnie ect, al weekend, non regolarmente so che ha fatto uso di sostanze.

La situazione é iniziata a precipitare nel 2019, quando ha iniziato ad usare sostanze piu' spesso. Lo vedevo cambiato , non ero piu' lostesso, perso nel suo mondo. Mi ha sempre detto che non stava bene, che non riusciva a trovare la sua strada, che lo faceva per dimenticare le cose che non andavano bene ect.

Ho provato a convincerlo a farsi aiutare, ma sempre senza risultati. Le istituzioni, mi dicevano che non potevano fare niente, dal momento che era maggiorenne, ed era lui che doveva chiedere aiuto. Son stati mesi difficili,sempre con la paura che succedesse qualche cosa.

Poi verso la fine dell'anno le cose sono migliorate. Lavorava, é riuscito ad andare a vivere da solo e sembrava si fosse "ripreso". Era ritornato il ragazzo sorridente, con la voglia di fare le cose, contento del suo appartamento, del lavoro e anche il nostro rapporto era migliorato.Ero cmq a conoscenza che alcune volte si faceva le sue serate.

Questo periodo é durato fino a settembre 2020, quando si é fermato per malattia. Da li la situazione é precipitata nel giro di pochi mesi é ritornato a fare uso di sostanze, tra cui, anche farmaci e ha iniziato a bere.

A fine dicembre non gli rinnovano piu' il contratto, e invece di reagire si lasciava andare sempre di piu'. Sempre in casa, si é isolato da tutti, non si prendeva piu' cura di se, della casa ect. A fine febbraio 2021 deve lasciare l'appartamento, non potendo piu' permetterselo, e da li inizia stare un po' di qua e un po' di la e sempre piu' perso. Mi son rivolta ancora alle istituzioni, ma sempre un buco nell'acqua.

Io non abitavo neanche piu' vicino a lui, per poterlo aiutare ( mi son trasferita a 350 km ), ho provato a convincerlo a tornare da me, ma non voleva.Vivevo con un angoscia,il pensiero era sempre rivolto a lui, ogni volta che suonava il telefono avevo il cuor in gola, pensando fosse successo qualche cosa.

Finché un giorno non mi arriva una video chiamata da un conoscente, e vedo in che condizioni é mio figlio. Irriconoscibile,trasandato, ubriaco alle 10 del mattino, straparlava ect ect.

Non voleva ascoltarmi, non voleva farsi aiutare, era molto agressivo nei miei confronti.Ho passato una settimana, che ogni volta che lo sentivo era in queste condizioni, mi diceva che se gli succedeva qualche cosa non gli importava perché tanto non valeva la pena vivere.

Con l'aiuto di un mio amico, sono riuscita a convincerlo a raggiungermi per pasqua. Quando é arrivato é crollato, non la smetteva di piangere e diceva che lui voleva farsi aiutare.

Purtroppo e molto spesso quando si vivono queste situazioni, non se ne parla con nessuno, perché vieni giudicato, incolpato di avere sbagliato tutto, ti vanno venire i sensi di colpa, specialmente i famigliari.

(io mi son sempre tenuta dentro tutto) finché non sono venuta a conoscenza, vedendo una replica di una trasmissione in tv, dell'associazione uniti contro l'uso ricreativo di farmaci.

Mi ha aiutato molto potermi "sfogare" con qualcuno,che sopratutto capisse la mia situazione. (perché purtroppo questo tema viene spesso preso "sotto gamba" ed inoltre non ci son istituzioni e/o strutture idonee che possan aiutare i nostri giovani)

l'associazione mi ha dato dei contatti dove ho preso già degli appuntamenti. Spero di poter aiutare mio figlio.

ps: cercate questi segnali: pupille troppo grandi o troppo piccole,smette di prendersi cura del suo abbigliamento e della sua persona, abbandona le attività che lo divertivano,diventa pigro e disattento,cambia amici e modelli sociali,tiene le cose segrete, rimane alzato fino alle ore piccole e dorme fino tardi,abbandona il lavoro, inspiegabile necessità di denaro , cambiamenti frequenti di umore e energia, aumento o perdita di peso improvvisi..sono alcuni segnali da prendere in considerazione che vostro figlio ha un problema.



Una mamma che vuole solo difendere il proprio figlio da queste sostanze pericolose e spingere le strutture/istituzioni ad aiutarci veramente e offrigli una vita serena e dignitosa.

Testimonianza: Mio figlio ora ha 20 anni, ha iniziato a fumare le canne in terza media

Mio figlio ora ha 20 anni. Ha iniziato a fumare le canne in terza media. Fumava tanto e regolarmente.

Abbiamo provato a dissuaderlo, a spiegargli i danni che questa sostanza provoca nei ragazzi nella fase di crescita, ma nulla è servito a farlo smettere.

Ho contattato la scuola che era a conoscenza dei vari ragazzi che fumavano marijuana e ho chiesto come mai non vi fosse un programma di sensibilizzazione sui danni che provoca tale sostanza.Mi hanno risposto che avevano il timore che parlandone avrebbero suscitato interesse anche in altri ragazzi.

Mi sono rivolta ad Ingrado e ho convinto mio figlio a intraprendere un percorso con un educatore e uno psicologo. Il percorso è stato interessante e di sostegno per noi genitori, ma non per mio figlio che non aveva nessuna intenzione di smettere di fumare.

A mio avviso, il suo avvicinarsi alle sostanze è stato causato dalla separazione tra me e il padre che tra l’altro, già in passato, era andato via di casa. Questo ha provocato in lui tanta rabbia, tanto dolore ma soprattutto un vuoto emotivo che negli anni ha colmato con l’uso di sostanze.

Nel 2016 ha iniziato un primo apprendistato che però non lo ha distolto dall’uso di sostanze. Ha iniziato a frequentare ragazzi più grandi e ad assumere sciroppi per lo sballo e psicofarmaci.

Al termine del primo anno ha interrotto l’apprendistato e nel 2017 si è inscritto alla Semo per avvicinarsi ad altre professioni.

A dicembre 2017 ha dovuto interrompere la scuola, perché un compagno che non aveva mai fumato marijuana, ha voluto provarla ed è stato male. L’erba era di mio figlio e la scuola ha deciso di interrompere immediatamente il suo percorso scolastico. Ha potuto riprendere i contatti con la Semo solo nel mese di aprile del 2018.

Ciò che mi dispiace in queste situazioni, è che i genitori non vengono mai contattati.
Capisco la posizione della scuola ma i ragazzi fragili e con delle dipendenze peggiorano la loro situazione, se lasciati a casa a far nulla.

A settembre 2018 ha iniziato un nuovo apprendistato.
Non mi sono mai vergognata di chiedere aiuto. Appena hanno iniziato ad esserci problemi sul lavoro, ho contattato i docenti che seguivano mio figlio e che avevano già capito la sua problematica. Come spesso capita con gli adolescenti, i miei discorsi non avevano presa su di lui, mentre ascoltava volentieri delle figure di riferimento positive che aveva individuato tra i suoi insegnanti.

Nel frattempo continuava l’uso di marijuana e psicofarmaci. Diventava sempre più nervoso sia verbalmente, nei miei confronti, che nella quotidianità. Talvolta bastava poco a farlo innervosire e spaccava piatti, bicchieri, vasi di fiori. Il suo sistema nervoso era arrivato al limite.

Quando esagerava non lo facevo rientrare in casa. Passava la notte da amici. Ho cercato di convincerlo a farsi aiutare ma non era in grado di capire che aveva un problema.

I week end erano la parte peggiore della settimana. Stava fuori tutta la notte e rientrava la mattina sempre in uno stato molto alterato. Altre volte non rientrava, allora andavo a cercarlo e lo trovavo devastato dalle sostanze che aveva assunto durante la notte. Era puro dolore per il cuore di una mamma.

A febbraio 2020, nel secondo anno del suo apprendistato la situazione si è ripetuta.

L’ispettore di tirocinio, in accordo con il datore di lavoro e mio figlio hanno deciso di interrompere l’apprendistato in quanto

non aveva acquisito le competenze per continuarlo. Quindi, da un giorno all’altro, lo hanno lasciato a casa.

Anche questa volta nessuno mi ha contattato, neppure gli insegnanti con cui avevo parlato e che conoscevano bene la situazione di mio figlio.

Ancora una volta mi sono resa conto che la scuola non ha capito che lasciare a casa un ragazzo già in difficoltà, è come condannarlo a peggiorare la sua situazione.

Mi ritrovavo da sola ad affrontare questo problema che era più grande di me e che, come dico sempre,
non auguro a nessun genitore.

I mesi successivi sono stati devastanti.

L’uso di marijuana, psicofarmaci (Xanax, Valium), alcool erano regolari. Era sempre più nervoso, gli sbalzi di umore erano frequenti e la situazione in casa era davvero insostenibile.

Finché un giorno l’ho messo davanti ad una scelta: o si faceva seguire da uno psicologo oppure doveva andarsene di casa.

Ha deciso di iniziare un percorso psicologico che segue ormai da più di un anno. Non sono stati mesi facili.
Ora vediamo dei miglioramenti, ha iniziato a fare uno sport che lo aiuta a scaricare le sue tensioni, ma vi è ancora un po’ di strada da fare.

Nel frattempo ho intrapreso anch’io un percorso psicologico che mi aiuta ad affrontare i momenti di sconforto.

Con questa mia testimonianza desidero sensibilizzare le istituzioni di ogni livello scolastico affinché possano dare uno spazio di ascolto ai giovani in difficoltà. Se si riuscisse a cogliere tempestivamente il loro malessere e supportarli, forse eviterebbero di trovare sollievo nell’uso di sostanze.

Nel mio caso specifico ho constatato che lasciare a casa un ragazzo in difficoltà non è d’aiuto: sprofonda ancora di più nel suo disagio psico-emotivo, l’autostima si abbassa, la frustrazione aumenta e di conseguenza l’uso di sostanze prende il sopravvento.

Inoltre sarebbe importante che vi sia maggior comunicazione e collaborazione tra scuola e famiglia. Ancora spesso si crede che dietro ad un ragazzo in difficoltà ci sia una famiglia assente. La realtà invece è ben diversa: i genitori ci sono, ma si sentono impotenti e soli a portare il peso della loro sofferenza.

Ringrazio di cuore Anna e la sua famiglia per aver creato questa Associazione che mi auguro porti dei cambiamenti per il bene dei nostri ragazzi.

bottom of page